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mercoledì 21 ottobre 2015

#OMG - Frutta

Lo sconfinamento fra Arte e Scienza, Bio-arte: un discorso fruttuoso.


Il punto debole di ogni argomentazione intorno agli OGM, che parli al pubblico più vasto, è non ricordare la distinzione fondamentale che interessa i consumatori: cibi transgenici, la cui riproduzione avviene in laboratorio con codice genetico non appartenente alla specie; cibi ibridati, la cui selezione avviene normalmente in agricoltura al fine di garantire il raccolto e selezionare i rami della specie fertili al fine di un giovamento nella resistenza ambientale e nei nutritivi, ad ogni stagione di raccolto. Abbiamo letto in un'articolo di artribune che ci si riferisce alla storiografia dell'arte, specificamente alla natura morta del diciassettesimo secolo, per evidenziare le specialità vegetali e animali esistenti all'epoca e attuare un confronto con quelle esistenti oggi, scomparse, sopravvissute o di nuova scoperta. Quello a cui si riferiscono il professore Nienhuis come anche Todd Wehner sono le idiosincrasie geografiche e morfologiche delle varietà di cui abbiamo documentazione visiva, pittorica e fotografica, che ci possa essere giunta (anche grazie alla storiografia dell'arte) fino al momento in cui, dagli anni 70, Cohen e Boyer dimostrarono la possibilità della clonazione di materiale genetico attraverso organismi di specie diverse fra loro. Questi sono noti come i primi effettivi sperimentatori nella manipolazione genetica. Parlando di intersezioni tra arte e scienza, l'interesse artistico dell'architettura genetica è proprio quello che ha dimostrato un'artista della bio-arte quale Heather Dewey-Hagborg. Attraverso la opera di hacking-spionaggio stranger visions, di frammenti di codice genetico, ha generato dei ritratti, maschere, dei possessori di frammenti di codice, ritrovamenti casuali nello spazio urbano. Riporta alla visione ciò che era nascosto alla vista, nel mozzicone di sigaretta o nella gomma da masticare sotto forma di tracce di secreti corporei.
Nel sempiterno tentativo degli artisti di contribuire al progresso scientifico, ci sembra fantascientifico immaginare che dipinti di epoca barocca, che ci trasmetterebbero altrimenti solo opulenza e languore, si proiettino al limite della fantascienza quando sono esaminati con lo sguardo pornografico e vivisezionista dello scienziato di chimica agraria o dell'ingegnere genetico contemporaneo.

Frutta, Capodimonte, Barocco
Natura morta (dettaglio) - XVII sec.,
Collezione Farnese,
Museo di Capodimonte di Napoli.
–––
Sulla frutta figurano numeri che rimandano a una appendice,
dipinta nel quadro stesso, la quale riporta i nomi delle
varietà di frutta raffigurate. Il lavoro della pittura Barocca
ci aiuta, a secoli di distanza, in una ricostruzione della
selezione (e semplificazione quando non disfacimento)
delle numerose specie vegetali del nostro vissuto storico.

domenica 18 ottobre 2015

Žilda à artecinema

"Žilda à Naples" nel titolo e nei fatti, una recensione del documentario con siparietto alla proiezione ad artecinema


La rassegna di pellicole sull'arte contemporanea 'artecinema' 2015 si apre con il film 'Art War' e si chiude ugualmente con la street art di 'Žilda à Naples'. Artista di cui Television breaker si è già occupato in un post del giugno 2012.
A intervistare il regista Colin Torre (cameraman e montatore del suo stesso film), è Laura Trisorio, la quale dopo poche battute apre il tema sulla presenza nella sala di proiezione dello street artist in questione, Zilda, che pare possa aver scelto di presenziare. Non è chiaro, ma trapela un certo fremito nelle parole di Colin.

Le luci in sala si abbassano. Inizia il manifesto in cinema dell'arte di Zilda. Un film ovvero un monologo dell'artista medesimo che ci lascia a bocca aperta per la fluidità con cui si fa accompagnare dalle immagini dei suoi stessi lavori, nonchè della loro realizzazione. Ma l'artista non si fa mai riprendere in volto, nonostante l'iconica felpa nera col suo nome sulla schiena, che lo identifica evadendo ogni dubbio. Un'opera magistrale di poesia per immagini e parole, considerato anche il low budget con cui sembra essere stata realizzata.

Ma accade un imprevisto sensazionale: il meccanismo di proiezione si inceppa dopo un elogio finale su Napoli, su come "ogni altra città impallidisce" al confronto, sul quale il film sembra voler concludersi. Si pianta sullo schermo una immagine glitch di un fotogramma distorto e una voce dalla sala lancia un urletto, gracchia un lamento, tutti si alzano, qualcuno applaude. Le luci si alzano e pare che gli sguardi del pubblico seguano una figura in fuga, con un tubo per poster simile ai rotoli di carta appena visti nel film.
Laura Trisorio si scusa per i "56 secondi" di pellicola che hanno mancato di proiettare e saluta tutti al prossimo anno per una nuova rassegna di artecinema.

Può darsi che il lamento alla interruzione della proiezione fosse dell'artista? Che tanto si era dato da fare per nascondere la sua identità, non poteva mancare alla prima del suo documentario. Docufiction che si apre con un commento alla quantità di cose e selfie e beni di consumo e tutta questa roba "sotto forma di paradiso" che potremmo criticare coerentemente se solo fossimo fuori da quella sala in cui, senza più ombra di dubbio, Zilda a un pelo dallo smascheramento, ha scelto di autocelebrarsi.
Finale clamoroso di rassegna.